Pietro Ruffo nasce nel 1978 a Roma, dove oggi vive e lavora.
Dopo aver studiato Architettura presso l’Università di Roma Tre, nell’anno 2010-2011 è stato titolare di una borsa di ricerca presso la Columbia University di New York.
L’arte di Ruffo resta essenzialmente legata agli elementi base della sua formazione da architetto: il progetto, la carta e il disegno. Ogni sua opera, infatti, ha origine da una meticolosa progettazione, attenta al minimo dettaglio, e prende forma sul foglio attraverso il segno delicato ma incisivo. Tuttavia, non conserva la bidimensionalità di una tavola poiché la carta, intagliata, acquista la terza dimensione. Ne risulta un lavoro stratificato, dalle molteplici letture visive e semantiche che indagano i grandi temi della storia universale, in particolare la libertà e la dignità del singolo individuo costantemente minacciate dalla massificazione in atto nella società contemporanea.
Con l’installazione Das Chinesische Reich (2007), l’artista pone l’attenzione su quello che definisce “l’impero cinese”: un’imponente piramide composta da scatoloni di merci provenienti dalla Cina, rappresenta la potenza delle dinamiche commerciali che schiacciano i lavoratori sotto il peso dello sfruttamento. All’interno di essa, infatti, è stata ricavata una nicchia in cui un video mostra la condizione di sfollati e rifugiati che tentano di attraversare le frontiere per sfuggire. Completa il titolo una citazione dal libro “Gomorra” di Roberto Saviano: “La merce ha in sé tutti i diritti di spostamento che nessun essere umano potrà mai avere”.
In lavori come Youth of the Hills (2008) esprime, invece, la contraddizione che si respira nei territori di conflitto del Medio Oriente: uno sciame di coleotteri ricopre un carro armato tedesco della Seconda Guerra Mondiale riprodotto in scala. Gli insetti sono intagliati dall’artista su pagine di preghiere ebraiche e senza distruggere l’integrità dei testi, sacra nella cultura ebraica, emergono dall’opera come se fuoriuscissero dalla sabbia, loro habitat naturale. Il coleottero è simbolo di forte appartenenza religiosa del popolo, causa stessa della drammatica disputa territoriale.
Lo stesso tema viene indagato nella mostra Un istante complesso (2009), a cura di Ludovico Pratesi, presso il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro. Protagoniste sei bandiere di grandi dimensioni degli stati coinvolti nei perenni conflitti: Israele, Libano, Iran, Iraq, Siria e Hamas. Il simbolo pop per eccellenza quale è la bandiera, viene privato del colore che lascia il posto ad una texture grafica dal tratto sottile, fitta sovrapposizione di teschi animali: aggressività, violenza e morte ma ancora una volta simbolo della stratificazione del popolo sul proprio territorio.
Nelle sue ultime opere acquista grande rilevanza il tema della libertà, divenuta quasi una costante nel lavoro dell’artista.
Durante la sua residenza a New York nel 2010, Pietro Ruffo ha avuto occasione di conoscere giovani filosofi e artisti provenienti da tutto il mondo, e di porre loro domande sulla nozione di libertà. Nasce così Atlas of the various freedoms (2010-2011), un vero e proprio atlante geografico in cui territori e volti si sovrappongono a formare una mappatura audio-visiva di questo concetto universale, ispirata al pensiero di Isaiah Berlin. L’installazione è, infatti, composta dai ritratti a grafite delle persone interpellate e dalle loro interviste, che possono essere ascoltate da cuffie che pendono dall’alto.
In altri lavori l’ideale di libertà è spesso incarnato dalla libellula, insetto intagliato e ripetuto lungo tutta la superficie delle installazioni. E’ il caso di Negative Liberty (2011) e Liberty House (2011), istallazioni site specific che, come in un tromp l’oeil barocco, trasformano ambienti chiusi in boschi finemente disegnati a matita o dipinti ad inchiostro, popolati da sciami di libellule, in cui l’osservatore si ritrova immerso, quasi come in un giardino segreto. In Revolution Globe (2011) le libellule sono invece intagliate su un mappamondo in carta di grandi dimensioni, evocando la libertà dell’individuo di muoversi senza confini né restrizioni: un riferimento diretto agli episodi rivoluzionari della cosiddetta Primavera Araba, scatenati proprio dall’assenza di libertà individuali e dalla violazione dei diritti umani.
In World Spring (2012) l’artista innesta su una mappa geografica mondiale singole parole arabe (democrazia, tirannia, pace, sangue, ecc.) estratte dagli slogan utilizzati dai dimostranti durante la Primavera Araba. Ogni parola, dipinta a foglia d’oro, ritagliata e posta in rilievo, è incorniciata in un motivo geometrico ispirato alle maioliche islamiche. Il risultato è una rete astratta che ricopre il globo e connette simbolicamente regioni e Paesi lontani e diversi. Una metafora visiva e concettuale del web, lo strumento comunicativo attraverso il quale le nuove generazioni di egiziani, tunisini, libici, yemeniti, siriani, sono entrati in contatto per organizzare e divulgare gli eventi rivoluzionari.