Fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, il manifesto pubblicitario, emblema della modernità, ha invaso i muri delle grandi capitali. Un linguaggio urbano che da allora è diventato parte integrante del linguaggio artistico e ha ispirato diversi autori. Oggi, ancor di più, l’onnipresente invadenza della pubblicità, ha reso queste immagini quasi invisibili ai nostri occhi. Marco Rea, classe 1975, tenta di dare nuova vita alle figure che popolano il mondo del marketing contemporaneo utilizzando il manifesto come supporto e appropriandosi di un processo che egli stesso definisce “inverso” a quello della street art: non porta l’arte in strada, ma la strada nell’arte.
Dei suoi inizi vicini alla pratica del graffitismo resta la tecnica della vernice in spray che usa sapientemente per intervenire direttamente sui volti e sui corpi delle fotomodelle. Sfogliando le riviste patinate si accorge che queste figure, asettiche ma vive, rappresentano per lui il modello per eccellenza da cui partire. In ogni opera intraprende una sfida con il caso: i soggetti sono quelli che qualcun altro ha scelto per lui, le pose sono già state sapientemente studiate dai fotografi pubblicitari di moda.
L’intervento dell’artista, dunque, mira a restituire l’aura di unicum ad un oggetto che è stato riprodotto in migliaia di copie. Le modelle ci appaiono ora come figure lontane, immerse in una dimensione senza spazio né tempo. Tuttavia, attraverso il velo della vernice, Marco Rea infonde personalità e anima a quei soggetti altrimenti così anonimi: gli occhi, oscurati e vuoti, senza pupille, donano alle sue donne quell’espressione indecifrabile ed enigmatica che consente però allo spettatore di specchiarsi in quegli occhi e appropriarsi di quel ritratto.
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