Francesca Romana Pinzari, artista romana, nata a Perth (Australia) nel 1976, ha iniziato la sua carriera nel 2001 come pittrice figurativa.
Negli ultimi anni ha intrapreso una ricerca sul corpo e sui fenomeni identitari della società contemporanea: utilizzando diversi media quali video, performances e installazioni, i suoi lavori si sviluppano come autoritratti che raccontano concetti universalmente noti nei quali ognuno può immedesimarsi.
Il proprio corpo è vissuto da Francesca come un luogo di sperimentazione, sul quale, con il quale e attraverso il quale indagare il rapporto tra intimità e condivisione. In una continua relazione di antinomia tra differenti elementi messi in connessione tra loro nascono opere come le Chimere (2012), sculture eteree, frutto di un paziente lavoro manuale che unisce la fragilità del crine di cavallo alla resistenza di una struttura metallica. Tra mito e storia, tra utopia e realtà le chimere aleggiano, materializzandosi nei ricordi ancestrali dell’individuo e nel risultato ibrido delle proprie incertezze. La chimera è, infatti, un mostro mitologico, ma allo stesso tempo è un desiderio irrealizzabile, un’illusione, un’assurdità.
Ma è in opere come Hair Majesty (2011) o nella serie realizzata su plexiglass che la Pinzari rivela l’intimità e la consistenza di un elemento organico come i capelli. In Hair Majesty quello che a prima vista sembra un disegno a china è in realtà un’opera realizzata interamente con i capelli delle persone ritratte, il che crea un legame diretto con il soggetto rappresentato che esula la somiglianza visiva, ma diviene piuttosto un prolungamento del corpo stesso. I capelli si intrecciano e si dispongono come una leggera trama cui si agganciano i pensieri spirituali di chi è ritratto, come un filtro di separazione del materiale e dell’istintivo da quello che è spirito e anima, i capelli creano figure intime ed interiori, che al contempo svelano un puro erotismo.
Mentre per raccontare di sé Francesca sceglie plexiglass e capelli: i fili scuri delineano un contorno chiaro ed emblematico, è un feto, raccolto e capovolto come fosse nell’utero di una giovane donna pronta al parto, e allo stesso tempo fisso e immobile bloccato nel plexiglass, quasi a scopo conservativo. In queste opere l’artista lascia una propria traccia, una prova: il proprio DNA.
Dopo un’acuta indagine sul corpo umano, Francesca Romana Pinzari ha concentrato il suo lavoro sul concetto di identità, invitando a riflettere sulla difficoltà di definire chi siamo in rapporto ad una società che tende a ripartire gli individui per gruppi di appartenenza – politica, culturale, religiosa, fisica.. – inglobando il singolo nel collettività.
Da qui nascono opere come il Bestiario (2011), su lastre di alluminio prendono forma delle creature mostruose, esseri composti da parti di animali esistenti e bestie fantastiche che emergono come le angosce e le inquietudini dell’essere contemporaneo dalla profondità imperscrutabile di uno sfondo scuro e corposo. O Cavalli (2012), circa 150 piccoli lavori pittorici a prima vista simili tra loro per intensità di colore e sbavature, ma in realtà tutti diversi l’uno dall’altro. Le figure, uniche e irripetibili, sono dettate dalla mano dell’artista e dalla casualità delle tecniche utilizzate. Ogni immagine è unica e seriale allo stesso tempo come gli individui che abitano la società contemporanea, persone uniche, per storia o cultura, che tendono però ad abbracciarsi per un puro senso di aggregazione.
Ma l’appartenenza ad un gruppo, ad un movimento o ad una fede può condizionare e stravolgere realmente l’identità del singolo individuo? Secondo Francesca Romana Pinzari no. L’artista racconta il suo punto di vista attraverso le immagini di I am not (2011) video della performance presentata durante una session di performances all’interno della rassegna organizzata alla Yes Foundation (Olanda) lo scorso anno. Ogni individuo secondo Francesca cerca di soddisfare il proprio senso di appartenenza abbracciando filosofie, religioni e partiti politici, ma in realtà il singolo non può annullarsi nel gruppo ed è proprio da questa consapevolezza che emerge la sua frustrazione nei confronti del sistema contemporaneo.