almost CURATORS è lieto di segnalare Incontri – Legàmi, una mostra collettiva che rivela connessioni inconsapevoli tra tre artisti: Gea Casolaro (IT, FR), Michael Hirschbichler (GER, AUT, CH) e Via Lewandowsky (GER).
La loro ricerca affronta tematiche comuni quali le differenti percezioni della realtà, le problematiche culturali e fisiche legate alle frontiere, l’analisi dello spazio architettonico come luogo politico e di controllo sociale.
Questi e molti altri argomenti saranno al centro della loro mostra da artQ13 che inaugura giovedì 26 maggio alle 19.00.
Abbiamo intervistato Gea Casolaro e Michael Hirschbichler, quest’ultimo coordinatore dei tre artisti coinvolti.
Qual è la tua formazione e su cosa hai incentrato la tua ricerca in questi anni?
GC: Ho una formazione molto variegata, avendo da prima realizzato degli studi scientifici (volevo fare l’etologa) e poi altri, relativi al linguaggio giornalistico, cinematografico e pubblicitario, con cui ho lavorato in altri settori per molti anni. Credo che proprio questa diversificazione, rispetto a degli studi artistici classici, mi abbia permesso di avere un approccio più analitico rispetto alla realtà, l’attualità e i differenti aspetti del vivere sociale che sono la mia principale materia poetica.
MH: Ho studiato composizione musicale da adolescente, successivamente ho seguito studi di architettura (presso l’ETH di Zurigo) e di filosofia (alla Humboldt-Universität di Berlino). Di conseguenza, l’interesse per le varie implicazioni legate allo spazio è parte fondante del mio lavoro. Nella mia ricerca artistica, infatti, mi dedico agli aspetti basilari della vita umana, come essa si svolge all’interno di strutture progettate e di spazi costruiti. In questo occupa una posizione centrale l’interazione tra le categorizzazioni scientifiche, religiose, culturali e politiche ed i loro risultati fisici e spaziali. Utilizzo diversi media – progetti, mappe, collage, fotografie, dipinti, modellini e installazioni – impiegandoli come strumenti al fine di intraprendere un’indagine archeologica critico-speculativa che sveli i diversi strati della geografia umana, del pensiero ideologico e dell’occupazione dello spazio. Rivolgo una particolare attenzione al momento in cui le utopie desiderabili falliscono, quando lo sforzo di realizzare le condizioni ideali porta a situazioni assurde e disumane o quando costrutti apparentemente neutrali rivelano delle basi ideologiche.
A cosa hai lavorato di recente è come ti stai preparando per questa nuova mostra?
GC: Attualmente sto lavorando a un monumento di arte pubblica per ricordare le vittime dell’amianto sul sito dove sorgeva la fabbrica dell’Eternit a Casale Monferrato. Il monumento sarà un vivaio di Davidia Involucrata, detta albero dei fazzoletti, di cui si prenderanno cura gli studenti degli ultimi anni di licei e istituti tecnici con il supporto di associazioni del territorio. Ogni anno, in occasione della Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, alcune piante prodotte dal vivaio saranno inviate a enti, associazioni o persone che, in Italia e in Europa, si saranno distinte per la bonifica, la cura e la lotta contro l’amianto. Il senso di questo monumento vivente è di mantenere la memoria non solo viva, ma anche attiva: il vivaio diviene un simbolo dell’impegno degli abitanti di Casale che si unisce a quello di quanti combattono per gli stessi valori. Un dialogo e una messa in comune di intenti per portare avanti le battaglie per la salvaguardia e il rispetto della vita delle persone. L’incontro per realizzare degli obiettivi comuni è un principio che adotto in molti dei miei progetti, così come nell’esposizione con Michael Hirschbichler e Via Lewandowsky con cui siamo entrati in dialogo su una serie di soggetti di attualità sui cui tutti e tre stiamo da tempo lavorando.
MH: Recentemente – e intensamente lo scorso anno durante la mia residenza presso l’Accademia Tedesca di Villa Massimo a Roma – ho lavorato sui temi della categorizzazione, dell’utopia, delle divisioni spaziali, tutti in qualche modo connessi agli sviluppi politici dell’ultimo anno in Europa.
BORDERLINES e la mia indagine su Lampedusa saranno il centro del mio contributo per la mostra da artQ13:
>> “UTOPIA (LAMPEDUSA)” e “ISLAND”:
A partire dal libro “Utopia” di Thomas Morus sull’omonima isola immaginaria, le isole non sono solo intese come rilievi topografici circondati dai mari. Come un non-luogo o come un luogo situato al di là dei confini del conosciuto, l’isola diventa un’immagine riflessa del mondo e rappresenta il simbolo di un ulteriore e migliore ordine. Affrontare il tema delle isole comporta, di conseguenza, l’addentrarsi in una zona ambigua e confusa tra le isole esistenti e quelle immaginate e desiderate, che avvolgono le esigue rocce sporgenti dal mare come un miraggio fugace. È in particolare nel Mediterraneo che si possono trovare tali isole, fluttuanti tra simbolo e realtà, che attirano come il canto delle sirene i disperati in barche sovraffollate. Nonostante siano nascoste in mare aperto e quindi difficili da raggiungere, queste isole sono protagoniste del nostro tempo. Tra i continenti e le società, tra la speranza e la tragedia, tra il mondo così com’è e il mondo come potrebbe essere, l’isola sembra essere un simbolo e un indicatore della realtà contemporanea.
>> “BORDERLINES”:
Il ciclo BORDERLINES traccia con l’acciaio come oggi si presentano i confini fortificati in Europa in scala 1:50‘000. Perciò una raccolta di dipinti scultorei tridimensionali cattura l’inquietante processo di divisione territoriale in Europa. Le tracce spaziali delle azioni ideologiche, politiche e sociali sono registrate in una serie di linee astratte, che alludono quasi solo alle qualità ornamentali, ma al tempo stesso mappano le attuali trasformazioni territoriali del continente europeo.
Come hai scelto gli artisti del gruppo di cui sei coordinatore?
MH: Con gli altri due artisti, Gea Casolaro e Via Lewandowsky, vi erano connessioni nascoste che abbiamo scoperto mentre preparavamo la mostra. Per prima cosa, Carlo Caloro ed io abbiamo cercato artisti con un forte ed articolato lavoro che gravitava, inoltre, su tematiche comuni, come i differenti modi di percezione e costruzione della realtà, domande culturali e fisiche relative ai confini ed alle analisi dell’architettura spaziale quale campo di contestazione politica e sociale. Anche Via Lewandowsky è stato come me residente a Villa Massimo e collabora con la mia stessa galleria di Monaco. Gea Casolaro, come abbiamo scoperto, aveva scattato alcuni anni fa alcune fotografie a delle sculture che avevo realizzato ad Addis Abeba, senza saperlo. Dunque, questi collegamenti nascosti ci hanno incuriosito ed infine spinto a scegliere quale titolo della mostra “INCONTRI-LEGAMI”.
Che significato ha e che valore ha per te lavorare in gruppo? Quali strade o opportunità di ricerca crea?
GC: Realizzo spesso lavori di gruppo, soprattutto in occasione di workshop, come ho fatto a Lima o ad Addis Abeba, o anche più recentemente con un gruppo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma: lavorare seguendo il metodo della condivisione dei punti di vista permette a tutti i partecipanti di ampliare la propria visione del mondo e la capacità di analisi di una determinata situazione o di un territorio o di una realtà culturale. Ogni gruppo è in qualche modo una micro società che, nel suo piccolo, mette in atto dinamiche di un certo tipo: scardinare quelle dinamiche attraverso il dialogo e la messa in comune delle singole capacità per il raggiungimento di un intento condiviso è quello che mi interessa, perché trovo sia un modello che si possa poi replicare in ogni situazione, anche su più vasta scala.
MH: Lavorare in gruppo è stato un processo molto affascinante, specialmente perché io solitamente lavoro da solo. Ogni idea che uno di noi ha proposto per la mostra è stata immediatamente riferita agli altri, prendendo a volte, una direzione imprevedibile e divertente. Gea ha proposto di vedere questa mostra come una personale a sei mani, un’idea che a me e Via è piaciuta molto. Quello che ha reso ciò difficile, però, è il fatto che ci siamo incontrati solo di recente e che attualmente viviamo in paesi diversi. Quindi abbiamo contato prevalentemente sulle chiamate telefoniche e video in modo da poter avere una discussione comune, e ciò non ha escluso tutti i problemi connessi ad una comunicazione via Skype ed alle distorsioni ambientali dei diversi luoghi. Durante la nostra ultima conversazione, per esempio, Via era in un caffè ed il suono della macchina per l’espresso e dei piatti che venivano preparati per il pranzo era molto più presente di ciò che si stava dicendo e la nostra conversazione in queste condizioni è divenuta molto surreale. Ma il fatto che ognuno abbia la sua specifica e comune tematica da affrontare rende ciò estremamente interessante e permette ad ognuno di vedere le cose da una differente prospettiva, il che è un grande arricchimento.
Volgendo lo sguardo verso l’esterno, nonostante le molte difficoltà dovute alle vicende legate alla politica internazionale cosa credi resti ancora dei concetti di comunità e condivisione?
GC: Se si guarda alle cronache, passate come attuali, è facile rendersi conto che la storia dell’umanità ha sempre portato avanti un discorso di divisione netta tra “noi” e “loro”, a livello di tribù, di paesi, di gruppi etnici o religiosi. Probabilmente questa dualità è intrinseca alla natura umana, come se a livello di specie fosse inscritta nel nostro DNA. E di conseguenza, penso che sia necessario stare molto attenti a cogliere la vera essenza di questa divisione, che esiste, ma che io penso sia assolutamente trasversale, ovvero internazionale, interreligiosa e interraziale: credo che gli esseri umani si dividano tra quanti pensano esclusivamente al profitto e ai privilegi del loro gruppo ristretto, e quanti, invece, si battono per una giustizia sociale più ampia, per il benessere di tutti gli esseri umani e la correlata salvaguardia del pianeta. Penso sinceramente che i secondi siano la maggioranza: forse non ne hanno ancora tutti totalmente preso coscienza, ed è per questo, che lavoriamo.
MH: Sembra che stiamo realmente entrando in una fase critica e pericolosa. Quando al giorno d’oggi si parla di concetti di comunità e di interessi comuni in Europa, molto più spaventose sono le reazioni politiche che liquidano radicalmente il senso di comunità costruito per un lungo periodo di tempo. Purtroppo sempre più recinzioni di filo spinato sono state erette lungo i confini europei. A livello personale, non sono stato in grado di percepire tali rotture tra i paesi come invece si verificano a livello politico. Dunque, il processo di divisione dell’Europa con recinzioni è al centro della nostra mostra, ma la mia speranza è che queste rotture politiche non riescano facilmente ad influenzare la comunità europea a livello umano.
Incontri – Legàmi
artQ13, via Nicola Coviello 15, 00165 Roma
Inaugurazione: Giovedì 26 Maggio ore 19.00
Venerdi 27, Sabato 28, Domenica 29 su appuntamento, Tel. (39)3409613486