Valentina Vannicola è nata a Roma nel 1982. Dopo essersi laureata con una tesi in Filmologia presso l’Università La Sapienza di Roma, si è diplomata alla Scuola Romana di Fotografia.
La sua pratica artistica è riconducibile al genere della staged photography, tendenza della fotografia contemporanea volta a presentare come reali scene costruite secondo le dinamiche proprie della cinematografia.
Fondamentale nella realizzazione delle opere che vanno dal 2008 a oggi, è la letteratura dalla quale l’autrice trae ispirazione creando scatti di ambientazioni fantastiche e suggestive, pur rimanendo legata alle sue origini.
Ogni fotografia rappresenta la messa in scena di un frammento chiave estrapolato dai testi famosi interpretati in maniera molto personale. Questi lavori parlano della sua vita: l’ambientazione prediletta è Tolfa, piccolo comune in provincia di Roma dove Valentina è cresciuta, i personaggi che partecipano alla ricostruzione della storia sono suoi amici, parenti e altri abitanti del suo paese (il giornalaio, il postino, la bidella della sua scuola) mentre la scelta compositiva della messa in scena è fortemente influenzata dalla scenografia cinematografica asiatica, che Valentina ha studiato e approfondito nel suo percorso accademico.
Il risultato è una produzione fotografica coerente ed emozionante, capace di catturare l’osservatore e di guidarlo attraverso una ricostruzione del tutto personale dell’evento ricreato.
La fotografia è dunque per l’autrice una necessità creativa: attraverso questo strumento riesce a dar vita alle immagini che la letteratura le trasmette. E lo fa con la stessa sapienza di chi conosce appieno le modalità di realizzazione di un film: accade questo in una delle sue prime serie “La Principessa sul pisello” (2009). Attraverso sette immagini Valentina Vannicola ci riporta alla mente le sequenze principali della fiaba di Andersen. Lo scenario è quello della Maremma laziale e i personaggi che interpretano i vari ruoli sono amici e parenti. L’autrice si occupa dell’intero progetto, a partire dalla lettura della favola, cui segue la stesura di uno “storyboard” fatto di bozzetti preliminari che racchiudono l’idea della composizione finale dello scatto. Importantissima è la partecipazione collettiva di coloro che si prestano a farsi immortalare: come un vero team di lavoro, tutti si adoperano al reperimento dei materiali “di scena” e nella scelta della location più adatta, fornendo il loro punto di vista progettuale, che risulta essere fondamentale per la stessa artista. Ogni scatto fotografico si compone dunque di una fase intima, personale di studio e ideazione dell’autrice alla quale segue la fase pratica e collettiva della messa in scena. Il racconto fotografico riassume in sette sequenze la storia di una principessa che seppe dimostrare la sua “regalità” avendo percepito la presenza di un baccello nascosto nel suo giaciglio sotto una pila di venti materassi. Dello stesso periodo è la serie Escape (2009), ispirata al “Don Chisciotte della Mancia” di Cervantes. Restano invariate le norme operative di studio personale e partecipazione attiva di gruppo. Qui la componente ironica delle immagini è più forte che nel lavoro precedente, merito anche della protagonista degli scatti, che è una casalinga annoiata immortalata mentre legge il romanzo picaresco durante un bagno caldo o in sella alla sua cyclette, immersa nelle lettura delle bizzarre avventure affrontate dai protagonisti. Immediato è il richiamo alle atmosfere dissacranti monicelliane de “L’Armata Brancaleone”: la donna immagina un eroe sgangherato che affronta un branco di pecore al pascolo, in una fantasia che, in un certo qual modo, è legata alla sua realtà quotidiana di vita in un piccolo paese di campagna.
In “Alice nel paese delle meraviglie” (2009) la protagonista è una donna matura, più vicina all’ideale di “mamma” che tutti abbiamo, piuttosto che al personaggio immaginato da Carroll. L’aspetto caricaturale dei personaggi è molto forte e sempre ironico, così anche il Bianconiglio e il Cappellaio Matto sono impersonati da abitanti adulti di Tolfa, che stanno al gioco di Valentina Vannicola, permettendole così di raccontarci un po’ della sua vita, facendoci conoscere i personaggi e i luoghi attorno ai quali è cresciuta. L’atmosfera, seppur a tratti comica, in alcuni scatti s’incupisce, rendendo lo scenario più grottesco.
La serie l’”Inferno” rappresenta per Valentina Vannicola una grande sfida: nell’anno 2011 decide che sarà proprio il capolavoro dantesco, caposaldo della cultura italiana, a essere fonte d’ispirazione per i suoi scatti. Lo studio è lungo e riccamente approfondito; lo schema operativo dell’autrice è il medesimo delle serie precedenti: studio analitico del testo, stesura di uno “storyboard” nel quale ha preso forma la sua immaginazione, ricerca dell’ambientazione, dei personaggi e del materiale necessario. Ancora una volta Tolfa e i suoi abitanti sono protagonisti degli scatti: le zone prescelte sono quelle della Maremma laziale, la costa di Santa Severa e la suggestiva caldara di Manziana. Sono quindici gli scatti ai quali l’artista ha iniziato a pensare già da qualche tempo, immagini e pensieri che dalla sua mente pian piano prendono forma in bozzetti che si accumulano quasi spontaneamente tra le carte personali e che solo a distanza di qualche anno, appunto, avrebbero visto la luce attraverso un complesso progetto come questo. Il punto di vista dell’osservatore si sostituisce a quello di Dante, narratore che ci guida alla scoperta della realtà ultraterrena che aspetta coloro che in vita sposarono il peccato: ritroviamo dunque la porta dell’inferno con le anime dannate rassegnate al loro destino, il limbo, gli ignavi, i golosi, gli avari, gli iracondi e gli accidiosi, oltre a celebri personaggi come Farinata degli Uberti condannato nel girone degli eretici, e Paolo e Francesca in quello dei lussuriosi. Ogni immagine è sempre accompagnata dalla terzina dantesca del canto al quale lo scatto è ispirato.
“Living Layers III” è il primo progetto realizzato da Valentina Vannicola che non fa riferimento al mondo della letteratura. Nasce in collaborazione con il museo Macro e la galleria romana Wunderkammern, e non ha come sfondo il paese d’origine dell’autrice, ma il quartiere popolare di Torpignattara. Anche se lo spunto e l’ambientazione rappresentano una novità con la quale confrontarsi, lo schema progettuale dell’autrice resta pressappoco invariato. La prima fase di lavoro è dunque lo studio approfondito del territorio del quartiere, sia da un punto di vista urbanistico/planimetrico che da quello più umano, fatto di passeggiate alla scoperta di coloro che quotidianamente vivono Torpignattara. La fase di scoperta genera nella mente di Valentina Vannicola immagini paradossali per cui un albero può nascere tra le piastrelle di un terrazzo, una balena può tuffarsi nella profondità della terra, aprendo l’asfalto come fosse un mare denso e oscuro, una barca può navigare in un mare d’erba e molto altro ancora. Quest’aspetto onirico e surreale è accompagnato da un forte elemento emozionale, espresso dai personaggi ritratti: tutti sono profondamente soli. L’isolamento, l’apatia, la rassegnazione sono tutte forme d’inquietudine figlie della vita in città, una grande come Roma, che nelle sue periferie presenta scenari di emarginazione.
Nel progetto più recente (2012), Valentina Vannicola ritorna a immaginare una versione tutta personale dei grandi romanzi, questa volta cimentandosi con un testo appartenente alla letteratura contemporanea italiana di Stefano Benni (1976), il “Bar Sport”. Fulcro della narrazione sono i personaggi che incarnano lo stereotipo tutto italiano dell’habitué del bar di provincia, come i giocatori di carte, la bella cassiera, le signore pettegole, il playboy, e le “attrazioni” del locale, come il flipper, il biliardo, il telefono e la riffa. La serie rappresenta gli episodi narrati dai clienti del Bar Sport, storie sempre al limite tra la realtà e la fantasia, ancora una volta messi in scena dagli “attori” di Tolfa. Valentina Vannicola è rappresentata dall’agenzia OnOff Picture e dalla galleria Wunderkammern di Roma.
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