Per trovare il luogo di ispirazione e origine del lavoro di Yasmin Fedda bisogna dirigersi a Tell Brak un sito archeologico nel nord-est della Siria dove sono stati rinvenuti alcuni depositi votivi offerti alla divinità del Tempio degli Occhi. Questi idoli in argilla, ispirati alla figura umana e con grandi occhi, sono per Yasmin la rappresentazione del vedere e del guardare, e dunque del riprendere, filmare, registrare le persone, le vite, le comunità, i soggetti catturati dalla sua telecamera. Tell Brak è stata nei secolo anche una via internazionale di scambi e sede di diverse civiltà, mi domando perciò se questo non sia anche un luogo simbolico, che suggerisca di interpretare i suoi film come delle terre di mezzo, dove differenti mondi, fermenti e culture possono incontrarsi: «penso che compito dei miei film sia quello di essere in grado di creare ponti, di condividere la vita degli altri. Mi auguro che il cinema e i film possano creare tale possibilità, creando uno spazio fatto per mettere in relazione persone, vite ed esperienze che altrimenti probabilmente potrebbero non incontrarsi mai».
Le differenti vite che Yasmin Fedda racconta viste insieme sembrano comporre un variegato mondo di emozioni, prospettive e speranze, lontane fra loro nello spazio e nel tempo, ma concretamente vicine nella rappresentazione dell’Altro. L’Altro raccontato da Yasmin non è mai dichiarato come tale né sinonimo di esclusione o emarginazione, ciò che chiaramente emerge dai suoi lavori è piuttosto quanto l’Altro – inteso come un differente punto di vista, di esperienza, di cultura o di condizione – possa facilmente trasformarsi un Io collettivo, di volta in volta differente, in cui ognuno può riconoscere la propria identità. D’altro canto è proprio il monaco siriano Boutrous, il protagonista del film Milking the Desert (2004) a svelare il punto cruciale del lavoro di Yasmin: nel raccontare le relazioni tra le comunità musulmana e cristiana Boutrous afferma, con concreta genuinità, che infondo “una persona è una persona”.
Il lavoro di Yasmin Fedda, infatti, è incentrato sulle persone, su individui simbolo di primavere culturali.
L’autenticità e la cruda purezza con cui, attraverso la telecamera, Yasmin guarda a tali universi appare evidente nei due lavori presentati a Roma lo scorso marzo in occasione della mostra collettiva “Idi di marzo” presso la British School of Rome: il pluripremiato Breadmakers (video del 2007, girato alla Garvald Bakery di Edimburgo, dove una comunità di lavoratori con disabilità dell’apprendimento, preparano pane biologico che ogni giorno viene consegnato ai negozi e alle caffetterie della città. Il progetto realizzato dalla Garvald Bakery è ispirato alle idee di Rudolph Steiner, secondo le quali il lavoratore deve realizzare il proprio potenziale di auto-scoperta e di creatività in un contesto sociale) e l’inedito Siamo tornati (2013) frutto dell’esperienza romana.
Siamo tornati racconta del crescente fenomeno italiano delle occupazioni sociali – Teatro Valle, Cinema Palazzo, ed altri – quale reazione ai tagli sui servizi pubblici e all’aumento significativo della disoccupazione. Nel quartiere romano di San Giovanni l’insegnate di box Gianni e altri allenatori e attivisti si sono uniti per creare S.C.u.P (Sport e Cultura Popolare), palestra e scuola popolare e centro sociale.
Le chiedo perché ha deciso di mostrare insieme questi due lavori che chiaramente affrontano il tema, a lei caro, della comunità quale luogo di crescita positiva: «perché ho ritenuto che entrambi i film, in modi diversi, mostrino come diverse comunità abbiano trovato soluzioni positive per affrontare i problemi che devono affrontare. Ho trovato entrambi i progetti stimolanti e mi è sembrato che si fondessero tra di loro».
I film sono tuttavia, stilisticamente piuttosto diversi: Breadmakers è completamente osservativo, senza alcuna voce fuori campo o intervista. Al pubblico basta guardare il forno, il pane e le interazioni sociali mentre tutti lavorano. In Siamo tornati il principale protagonista è Gianni, il quale spiega cos’è e il perché del progetto S.C.u.P, e racconta il significato che questa esperienza ha per lui e per l’intera comunità.
Yasmin seleziona i protagonisti dei propri film in modi diversi adattandosi di volta in volta alle circostanze, ciò avviene anche nella fase di montaggio dove lo stile non sovrasta mai il contenuto, ma si modella su di esso rendendo ogni lavoro unico e completo. E’ nella fase di ripresa che Yasmin tende a riproporre sempre la stesso schema di approccio, trascorrendo lunghi periodi di tempo con le persone che andrà a riprendere, ciò le è d’aiuto nell’acquisire fiducia e nell’essere in grado di filmare la vita ‘as it happens’.
Yasmin Fedda ha origini palestinesi, dopo aver vissuto in Siria e in diverse zone del Medio Oriente, si è trasferita in Inghilterra e ha trascorso i primi tre mesi del 2013 a Roma presso la British School of Rome, in quanto vincitrice della Creative Scotland document24 Fellowship 2012-13.
Quando le chiedo se si sente una cittadina del mondo mi risponde: «Talvolta è difficile non sentirsi radicati in nessun luogo, ma allo stesso tempo mi piace sentirmi parte di molti luoghi e non di un qualsiasi posto nel mondo».
Yasmin Fedda, Siamo Tornati, 2013 http://vimeo.com/63646958