Ci sono anime che devono essere raccontate, piccole-grandi storie nella Storia a cui si deve dare voce e respiro. E in questo l’arte traccia percorsi e stimola riflessioni, innescando un meccanismo che ci fa cambiare prospettiva e ci ricorda che la creatività è emozione. E l’emozione può essere la più grande cura.
Angelo Merendino è un fotografo statunitense. “La Battaglia che non abbiamo scelto” è il progetto a cui lavora con dedizione assoluta da circa cinque anni.
Quando nel 2007, a soli 5 mesi dal matrimonio, la moglie Jen si ammala di cancro al seno, Angelo decide di affidare all’obiettivo fotografico la testimonianza e la condivisione di tutte le quotidiane battaglie della giovane donna contro il tumore. È la stessa Jen a chiedere al marito di documentare ogni fase della sua lotta contro la bestia, ogni cambiamento di quel corpo che da un istante all’altro diventa traditore, per dimostrare a se stessa, al suo amore e ai suoi cari quanta forza, passione e coraggio servano per combattere la battaglia che, non scelta, ha scelto lei. Ed ecco che tutte le frustrazioni ed i piccoli successi di Jen diventano scatti di vita, volti a far comprendere, soprattutto ad amici e parenti, gli aspetti più duri della malattia, in un crescendo di condivisione e comprensione che traspare da ogni singola foto, da ogni singolo momento impresso in quell’istante congelato, privo di ogni retorica, di ogni autocommiserazione. “Le mie fotografie non sono solamente sul cancro”, dice Merendino. “Raccontano l’amore e la vita, il non arrendersi mai. Devono far capire che bisogna vivere ogni secondo”.
I numerosissimi scatti di questo intenso e toccante progetto verranno esposti a gennaio 2013 a Washington, mentre il grande sogno di Angelo per il nuovo anno è di portarli in tour, superando i pregiudizi di un pubblico forse in parte non ancora pronto ad un racconto della malattia così sincero, privo di filtri e veli. Un racconto fotografico che, attraverso la memoria, diviene terapia dell’anima, metabolizzazione di un percorso, interiorizzazione ed allo stesso tempo universalizzazione di un dramma a noi sempre più vicino.
Da poco più di un anno Jen purtroppo non c’è più. Ma di certo non può esserci modo migliore per celebrare la sua battaglia.
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